10 ott 2012

L'evoluzione della bicicletta

Quando si parla di evoluzione, si pensa immediatamente alla teoria darwiniana, legata ai due fattori della variabilità genetica e della selezione naturale.
Tuttavia, grazie a un pluridecennale campo di studi molto vivace sia in Europa sia negli Stati Uniti, è ormai appurato che, da quando è apparso sulla terra, Homo sapiens ha saputo introiettare nella propria storia i principi che stanno alla base della struggle for existence in essere, fino ad allora, fra gli organismi.

Partendo dalla definizione di cultura come “accumulo di conoscenze globali e innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni”, il celebre genetista Luigi Luca Cavalli Sforza (nella sua opera L'evoluzione della cultura) ha intepretato in chiave evoluzionistica i comportamenti adottati dagli esseri umani dal momento in cui hanno sviluppato il linguaggio.

La cultura umana evolve a un ritmo molto più alto rispetto alla morfologia animale, con un doppio beneficio per la nostra specie: questa caratteristica, da un lato, ci permette di progredire su scale temporali molto brevi, e dall'altro ci consente di accumulare nel lungo periodo i benefici di questo sviluppo.
Ulteriore differenza è che, mentre nella biologia una mutazione avviene sempre in maniera del tutto casuale, nella cultura il cambiamento e quindi l’introduzione di un'innovazione non è frutto del caso, ma scaturisce dall'urgenza di rispondere a un determinato bisogno.

Uno dei bisogni primari dell'uomo è la locomozione. La prima invenzione utile in tal senso è stata sicuramente la ruota, e l'ultima - molti millenni dopo - l'autormobile. Ma, fra le due pietre miliari nella storia dei mezzi di trasporto, ce n'è un'altra, spesso sottovalutata, che sta vivendo negli ultimi anni una seconda primavera, tanto da essere assurta a simbolo di uno stile di vita compatibile con le necessità moderne. La bicicletta

Nato intorno al 1816 grazie all'inventiva del tedescro K.C.L. Drais von Sauerbronn (da cui il nome "draisina"), il mezzo a due ruote è già presente, in una sua versione rudimentale, nel Codice Atlantico attribuito a Leonardo da Vinci. La sua origine è già democratica, in quanto il padre la volle come sostituto del cavallo, in grado quindi di allargare la possibilità di trasporto personale veloce potenzialmente a tutta la popolazione. Fu poi con l'inglese Denis Johnson che si passò a un uso sportivo (come "hobby horse"), benché fino al 1860 lo sviluppo della bicicletta venne ostacolato dai limiti tecnologici.

L'esplosione avvenne infine a Parigi, dove il velocipede - una ruota anteriore dal diametro leggermente maggiore - spadroneggiava nei nuovi viali pavimentati a macadam, successivamente integrata con l'introduzione dei copertoni in gomma e del cuscinetto a sfere.
Ma, a fine secolo, il monopolio della produzione ciclistica passa al Regno Unito, patria della "High Bicycle". Non è difficile immaginare come era strutturata: una ruota anteriore enorme, su cui un guidatore in posizione precaria rischiava la caduta in cambio di maggior leggerezza e velocità.

Fonte: www.clemson.edu
Da lì in avanti, è storia recente: grazie alla Safety Bycicle - il cui primo modello fu la Rover (dice niente questo nome?), costruita per la prima volta da John Kemp Starley nel 1885 - le due ruote divennero finalmente un patrimonio collettivo. Negli Stati Uniti degli anni Sessanta si assistette alla consacrazione che portò alle versioni da corsa e infine alle mountain bike.

E oggi? Cos'è oggi la bicicletta, oggi? È davvero necessaria in una società in cui tutto ciò che non è consumabile nell'immediato sembra destinato all'oblio? Un'opportunità fatta apposta per scoprirlo è il Bicycle Film Festival, un evento che si tiene in  oltre venti tra le più grandi città del pianeta.
In Italia è ospitato a Milano dove, dall'11 al 14 ottobre, vedrà intrecciarsi concerti, film, gare, tutti ruotanti intorno al mondo del pedale. 

Sarà un modo per celebrare un vero e proprio lifestyle, un'iniziativa che ha non a caso come palcoscenico i centri urbani più trafficati di ciascun Paese.
La battaglia per una mobilità sostenibile è tanto importante quanto ancora insufficiente (nonostante gli sforzi pregevoli di movimenti come Critical Mass): c'è bisogno di una maggior consapevolezza tra i cittadini, per rendersi definitivamente conto, come recita un laconico slogan, che «Cars Suck».


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