17 apr 2013

L'importanza di chiamarsi "sediba"

Alcune scoperte rivoluzionano palesemente la vita quotidiana; altre lo fanno in maniera meno evidente, ma sono altrettanto importanti per il progresso culturale e materiale della specie umana. Quella di cui si parla qui rientra tra le seconde, ma è un avvenimento che può incidere talmente tanto nella comprensione di noi stessi che trascurarlo sarebbe un'eresia.

La rivista Science gli ha dedicato una Special Issues pubblicata lo scorso 12 aprile: sei articoli che analizzano i resti dell'Australopithecus sediba scoperti nel sito di Malapa, 15 km a nordest dei famosi siti archeologici di Sterkfontein e Swartkrans, in Sud Africa.

Il luogo del ritrovamento ha fornito probabilmente il più ricco insieme di fossili di ominini* dell'intero continente africano. Rinvenuti nell'agosto del 20008, hanno permesso nel 2010 il riconoscimento di una nuova specie, il cui nome deriva da un termine che nella lingua Sotho sta per "fonte", "sorgente". Gli oltre 220 frammenti hanno infatti permesso di collocarlo in una posizione privilegiata all'interno dell'albero genealogico dell'essere umano: vissuto tra i 2 e gli 1,5 milioni di anni fa, aveva una capacità cranica di 420–450 cm(circa un terzo rispetto a un uomo contemporaneo) e una mano sorprendentemente moderna, la cui presa precisa permette di pensare che fosse in grado di realizzare degli utensili.

Arto anteriore di MH2
Gli scheletri studiati dal progetto di ricerca dello Evolutionary Studies Institute dell'Università di Witwatersrand, insieme ad altre quindici istituzioni internazionali, e diretto da Lee Berger, uniscono caratteristiche primitive ad altre innovative, rendendolo un vero e proprio mosaico tra le specie Homo e Australopithecus. Le lunghe braccia e il pollice proporzionalmente più grande rispetto alle altre dita suggeriscono, ad esempio, che la sua locomozione fosse prevalentemente arboricola.
L'olotipo e il paratipo in mano agli scienziati, denominati rispettivamente MH1 e MH2, insieme a una tibia adulta indicata con MH4, hanno permesso di descrivere anche l'alimentazione di questo nostro antenato.

Le condizioni di fossilizzazione, straordinariamente buone, hanno fatto sì che dalla placca dentaria venissero estratti dei pitoliti vegetali: A. sediba viveva probabilmente nella savana, nutrendosi di frutti e altre risorse fornite dalla foresta, in maniera simile a come fanno oggi gli scimpanzé.

Tuttavia, non c'è ancora un accordo, all'interno della comunità scientifica, sulla collocazione esatta di questa specie nel cammino evolutivo. A differenza di come riportato sulla prima descrizione dei resti da parte degli autori della scoperta, i quali interpretarono i fossili come quelli di una specie di transizione tra australopitecine e Homo, altri paleoantropologi, come Tim White e Ron Clarke, sostengono possa trattarsi di un tardo ramo sudafricano di Australopithecus, coesistito con altri membri già esistenti del genere umano.
La stessa descrizione della nuova specie sulla base soprattutto di uno scheletro giovanile è stata oggetto di critiche, poiché non si può essere certi di quanto l'esemplare sarebbe cambiato entrando nella fase adulta.

Comunque la si pensi, una cosa è certa: sediba è più importante, nella conoscenza di questo animale chiamato "uomo", di tante altre frivolezze cui diamo quotidianamente un peso eccessivo.

Fonte: www.zeit.de

* Gli Homininae sono una sottofamiglia di primati che comprendere attualmente l'uomo e tutte le forme viventi di grandi scimmie antropomorfe.

Nessun commento :

Posta un commento